martedì 28 luglio 2015

Arriva l'aeroplano!

"Apri la bocca Amy...Arriva l'areoplano!"

Amy era giá in grado di usare il cucchiaio da sola, ci riusciva anche bene, ma il suo impegno richiedeva tempo che ora non avevano. Hannah camuffava la preoccupazione e un pesante cerchio alla testa dietro i ruomori di un immaginario aeroplanino che trasportava omogenizzato alla frutta.
Dovevano sbrigarsi se volevano prendere la metropolitana prima dell'ora di punta, quando New York andava al lavoro indossando completi scuri e cravatte colorate che facessero dimenticare le ore extra passate alla scrivania.

"Dai Amy l'ultimo carico dell'areoplano!"

venerdì 12 dicembre 2014

Hansel che pescava i tramonti

"Mamma io esco"
"E dove vai tesoro?"
"Vado a pescare"
"Non fare tardi. Stasera c'è l'arrosto con il purè"

Sua madre stava lavando i piatti in cucina. Era pomeriggio, il sole picchiava sulle teste e sull'erba, facendo risplendere il mondo di un bel giallo dorato.
Hansel preparò la sacca con tutto l'occorrente. C'erano gli ami, c'erano le esche, c'era la canna aggiustata con il nastro adesivo, c'era la borraccia ma soprattutto, tanta buona volontà.

25 volte inconcludente

Camminavano fianco a fianco lungo la via principale, affollata da volti senza nome e cellulari eccessivamente costosi. Tenevano una buona andatura, erano abituate a correre, a suddividere le ore in minuti e a non dimenticare mai l'agenda. Chiacchieravano del più e del meno, senza soffermarsi su argomenti troppo pesanti per quel tranquillo pomeriggio d'autunno che odorava di polvere e caffè.
"Lo so, non mi servono...però...guarda quelle scarpe..."
"Quali?"
"Quelle Blu con il tacco, dietro gli stivaletti neri di pelle. Sarebbero perfette con il nuovo vestito"
"Ma tu le scarpe con il tacco non le porti. Nei hai venticinque paia almeno nell'armadio."

I conigli di Amelia

Si infilò le ciabatte con cautela, come se ad aspettare le sue dita ci fossero braci e non cuciture. Stringevano, avrebbe dovuto comprarne di nuove. La vestaglia rosso imperatore, lesta arrivò a cingergli le spalle, rassicurandola che in quella mattina fredda non sarebbe mancato un abbraccio a confortarla. Aprì la porta della stanza e si diresse verso le scale. Non era ancora l'alba, la notte la faceva da padrona e tutto era ricoperto da ghiaccio e silenzio. Non le era mai piaciuto tanto dormire, "Ci si riposa una volta morti!" era solita a rammentare a chi tentava di frenare quel suo fare perennemente energico.
Appoggiò la mano al muro, scivolando con le dita tra i granelli che la vecchia pittura scrostata aveva lasciato. I muri della casa dov'era cresciuta erano diversi, ancora ricordava le traballanti assi di legno impregnate di umidità e vecchie storie.

Il cieco e la puttana

La vista mi abbandonò che ero ancora un ragazzo. Colpa di una pallonata diretta e crudele che spezzò immagini e speranze. Da allora il mio mondo è stato fatto da ombre sospette e luci fioche, nulla che avesse un contorno oppure un nome. Ho imparato a convivere con gli angoli appuntiti e i marciapiedi dissestati, ma mai con la mancanza del sole e delle stelle. La città in cui vivo è un enorme alveare, dove calma e quiete non sono proprie neppure delle preghiere domenicali. C’è il rumore del traffico a guidare i miei passi incerti e le voci dei passanti a darmi la misura delle distanze, tutto il resto sono vite assordanti passate al frullatore.Abito ancora nella casa dove sono nato, vicino al teatro con le porte rosse – almeno, così erano un tempo – e i giardini pubblici, dove le grida dei bambini si attenuano solo quando scende la notte.La mia casa è grande, lo era già abbastanza per tutta la famiglia, figuriamoci ora che sono rimasto solo. 

domenica 5 gennaio 2014

La sirena che ignorava l'amore.

Mi ricordo di quando vidi la sirena.

Se ne stava seduta sulla spiaggia guardando nel vento.
Era bella come solo qualcosa che non esiste può esserlo.
Le chiesi cosa faceva lì seduta, perché non si trovasse in mare.

Lei mi rispose che in mare non c’era più nulla che la potesse rendere felice.
Aveva visto tutto, raccolto ogni perla e nuotato fra tutte le correnti. 
Non era più felice perché non c’era più nulla da scoprire tra quelle onde. 
Mi disse che aveva tanto sentire parlare di questo posto magico pieno di grandi città ed avventure, persone incredibili e tramonti interminabili.

Io le raccontai della parte di mondo che conoscevo, delle colline, delle fronde degli alberi e delle notti d’estate.

Parlammo per ore.

Calò la sera.

Quando le dissi che mi ero innamorato di lei mi chiese cosa fosse questa cosa chiamata amore.
Glielo dissi. Le spiegai del cuore che batte veloce, del respiro che manca, della mente che non trova pace e del sonno che viene meno.


Lei mi accarezzò il viso e se ne tornò in fondo al mare....



mercoledì 18 dicembre 2013

Una promessa per Anna

Anna scese le scale a passo leggero, avvolta dal caldo tepore della vestaglia che confortava il suo spirito quando fuori tutto ammutoliva sotto il gelo dell’inverno. Arrivò in cucina e accese la luce.
Un calore familiare illuminò la notte, svegliando però il povero gatto Leo appollaiato come un canarino sul bracciolo della poltrona. Anna mise su l’acqua per il tè, muovendo con grazia innaturale le dita affusolate e organizzate in un morbido balletto.
Fuori dalla finestra il mondo dormiva, la neve cadeva abbondante quella sera di febbraio e nulla pareva impaziente di tornare a nuova vita.
Anna sfilò dalla tasca della vestaglia la piccola chiave argentata. Un giro soltanto e il piccolo cassetto si aprì, sputando fuori con poca eleganza cartacce e documenti bancari accumulati negli anni.
Lei infilò la mano verso il fondo, sapendo bene che sensazione avrebbero provato i suoi polpastrelli una volta raggiunto lo scopo.